I CRIVELLI

Carlo Crivelli

Carlo Crivelli nacque a Venezia nel 1430 circa, ma lasciò la città lagunare da giovane, per non farvi più ritorno, probabilmente a causa di un amore giovanile finito con un processo e con un periodo trascorso in carcere. Lavorò a Padova, nella bottega dello Squarcione, al tempo in cui vi collaborava anche Mantegna, il cui influsso, unitamente a quello di Filippo Lippi e di Donatello, è riscontrabile nelle prime opere, come nella veronese Madonna della Passione (Museo di Castelvecchio), dove ai modi rinascimentali tardo-gotici veneziani è associata una forte tendenza all’astrazione formale, tesa e raffinata, resa ancora più intensa dai colori smaltati che rievocano la lucentezza delle icone e dei mosaici bizantini. Successivamente il pittore lasciò Padova al seguito dello Schiavone, per raggiungere Zara, città in cui è attestato nel 1465 come cittadino, per giungere subito dopo nelle Marche, dove nel 1468 firma e data il polittico di Massa Fermana, cui segue, nel 1470, il polittico di Porto San Giorgio, smembrato all’inizio dell’Ottocento e disperso in vari musei. Non si tratta di un caso isolato: nate nelle Marche, tra Fermo, Camerino, Fabriano, Ascoli Piceno, molte delle sue opere collocate in chiese e contrade spesso irraggiungibili nei secoli passati, cominciarono a disperdersi dapprima a causa delle spoliazioni napoleoniche, che contribuirono a far confluire a Brera numerose sue tavole, e successivamente in seguito al grande apprezzamento che il mondo anglosassone riservò all’arte dei ‘primitivi’ del Quattrocento (fino a qualche tempo fa un’intera sala della National Gallery di Londra era dedicata esclusivamente ai dipinti di Carlo Crivelli). Stabilitosi già dal 1469 ad Ascoli Piceno, l’artista realizzò nel 1473 il polittico per il duomo della città, pervenutoci intatto con la sua preziosa cornice, opera caratterizzata da una preziosità inedita e cristallina e da una sostanza cromatica smaltata, frutto di una cifra stilistica personalissima che grande fortuna incontrerà presso i suoi epigoni. Ecco dunque i suoi cesti di frutta, evidenti, palpabili e contemporaneamente avulsi dalla realtà, fissati nella loro dimensione puramente estetica, o i personaggi dei polittici, tra cui le superbe sante Maddalena e Caterina, solenni negli eleganti broccati, nei mantelli di pesante velluto rosso vermiglio, dalle incredibili acconciature elaborate tra fili di perle preziose. Crivelli eccelse nell’esprimere gesti di dolore e nel raffigurare mirabili intrecci di mani, immagini che si stagliano nel silenzio gelido dei colori smaltati sulla tavola, grazie ad una sostanza cromatica che trattiene l’oggetto, lo blocca sulla superficie, come in un’icona bizantina. Ad Ascoli il pittore continuò ad avere casa e famiglia, ma fu attivo anche nel Fermano, a Camerino, Ancona, Fabriano, Matelica. La morte lo colse prima del 3 settembre 1495, data in cui il fratello Vittore ne rivendicò l’eredità.

Vittore Crivelli

Fratello di Carlo, nacque a Venezia intorno al 1440 e morì a Fermo a cavallo tra il 1501 e il 1502. Nel 1481 è documentato nelle Marche, a Montelparo, impegnato in un dipinto per la chiesa della Madonna di Loreto. Prima di stabilirsi a Fermo, nelle Marche, fu attivo in Dalmazia, a Zara, tra il 1469 e il 1476. Fu probabilmente Carlo a chiamarlo, al fine di aiutarlo nelle numerose commissioni ottenute nelle Marche. Vittore operò nel Fermano, Carlo nell’Ascolano: sembra che i due fratelli si fossero divisi l’area d’influenza sulle due città delle Marche meridionali, peraltro spesso in lotta tra di loro. Pur improntando la sua produzione sulla scia di quella del più dotato fratello Carlo, le opere di Vittore, non prive di fascino, sono caratterizzate da una espressività meno incisiva, priva dell’impeto creativo e di quell’esasperato grafismo che contraddistinguono i modi di Carlo. Vittore cercò di emulare l’inarrivabile linguaggio del fratello, come si vede in un’opera a quattro mani, il Polittico di Monte San Martino, in cui Vittore completò l’opera lasciata incompiuta da Carlo, rischiando di scadere in una ripetizione meccanica e irrigidita. In altre occasioni tuttavia, come nel caso del polittico di Torre di Palme e in quello di Sant’Elpidio a Mare, l’artista ritorna ad un racconto disteso e pacato, memore della lezione veneziana dei Vivarini e di Giovanni Bellini. Un tema ricorrente nella pittura di Vittore, e mai presente nelle opere di Carlo, è l’iconografia della Madonna adorante il Bambino, molto diffusa nel Quattrocento e derivata dalle visioni di santa Brigida. La delicata raffigurazione della Vergine, spesso attorniata dagli angeli, in atto di adorare il bambino Gesù, è infatti presente in numerose sue opere, come nelle tavole di Falerone, Sarnano e Massignano e nei polittici di Cupra Marittima e Monsampietro Morico.